Il bracconaggio in Italia: i dati dal 2010 al 2021


Ad oggi l’unica legge italiana che tutela la fauna selvatica è la legge n. 157 del 1992, una legge che l’11 febbraio compie 30 anni, su 57.460 specie e sottospecie di animali selvatici ne tutela l’1,1%.

È possibile lasciare l’attuale impostazione della legge quadro quando il bracconaggio, in Italia, non accenna a diminuire?




Dal 2009 al 2020, anni a cui si riferiscono i dati analizzati ricevuti dalle Forze di Polizia sono stati accertati, per difetto, oltre 35.500 illeciti, ben 2.960 ogni anno e questa non altro che la punta dell’iceberg.
È stato calcolato che solo l’1% degli illeciti è stato accertato.

Cosa muove il bracconaggio? Ovviamente nella maggiorate dei casi i soldi.

IL PREZZIARIO DEL BRACCONIERE

  • un verzellino da 25 a 50 euro,
  • un verdone da 25 a 50 euro, un cardellino fino a 50 euro, un frosone da 60 a 100 euro;
  • la concia di una pelle di volpe o l’imbalsamazione di una specie protetta, come un rapace, da 300 a 2.500 euro;
  • una settimana di caccia illegale in Ungheria, Serbia o Montenegro o nel sud Italia da 1.000 a 4.000 euro; l’affitto mensile in Campania di un bunker illegale con relativo stagno artificiale per sparare ai migratori da 7.500 a 15.000 euro;
  • una coppia di aquile dai 6.000 agli 8.000 euro e possono raggiungere anche un valore triplo se accompagnate da certificati Cites riciclati, che consentono la commercializzazione nel mercato legale: in Arabia Saudita un’aquila del Bonelli può essere pagata fino a 25.000 dollari.

L’attività dei bracconieri si concentra, soprattutto, sui “beni” che sono più disponibili e richiesti: piccoli passeriformi, ungulati, anatidi, richiami vivi e caccia senza attenzione alle regole.

I piccoli passeriformi, dai turdidi ai fringillidi, dalle beccacce alle allodole, dal Trentino fino alla Sicilia, vengono catturati piccoli nei nidi o adulti con reti, trappole e ogni altro mezzo, per poi essere venduti vivi, come richiami ai cacciatori italiani che ancor oggi ne possono far uso, o morti, per i ristoratori che offrono, ben pagati, piatti a base di uccellini. Ogni anno, le stime più attendibili indicano da uno a due milioni di animali che finiscono in questo circuito, per un giro di affari che oscilla tra i 50 e i 70 milioni di euro.

Gli ungulati, cinghiali in primis ma anche caprioli, cervi e daini, vengono uccisi a fucilate o catturati con lacci o trappole e, senza alcun controllo sanitario, macellati e venduti ad agriturismi e trattorie di tutta la penisola.

Ogni anno alcune centinaia di migliaia di animali vengono uccisi per alimentare questo circuito, per un giro di affari che oscilla tra i 70 e i 100 milioni di euro.

Gli anatidi sono un ambito trofeo di caccia e, di conseguenza, le postazioni (botti) da cui possono essere cacciati sono altrettanto ambite e profumatamente pagate. Il bottino, germani reali, moriglioni, alzavole, marzaiole, ma anche le specie minacciate come la moretta tabaccata, supera i 100.000 animali all’anno per un giro di affari, tra “affitto” delle botti e vendita degli animali uccisi ai ristoranti, compreso tra i 30 e i 50 milioni di euro.

Molti, troppi cacciatori, soprattutto di Lombardia, Veneto, Toscana e Lazio, bramano di poter fare la caccia ai migratori senza limiti di carniere o di specie imposti dalla legge. All’estero e in alcune aree del Paese, come Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e nelle aree private (quindi difficilmente accessibili) nel Delta del Po, in particolare nelle province di Rovigo, Ferrara e Ravenna, vengono offerti pacchetti di “turismo venatorio” del tutto illegali, senza limiti di carniere o di specie. Ogni anno, per alimentare queste vacanze illegali vengono uccisi centinaia di migliaia di animali, per un giro di affari tra i 50 e i 100 milioni di euro.

Soltanto queste tipologie di illeciti contro la fauna selvatica permettono di stimare un giro di affari annuale in Italia che oscilla tra i 200 e i 320 milioni di euro di affari sulla pelle degli animali selvatici.

Il Bracconaggio è l’opposto della tutela della biodiversità.
Quando si parla di aggressione alla biodiversità non sempre si riescono a cogliere la bellezza, la ricchezza di specie e la varietà di ambienti naturali che la compongono e quanto siano gravi le aggressioni che la minacciano. 
Una cosa semplice da fare per avere almeno un’immagine è una veloce carrellata mentale di specie animali: orsi, lupi, aquile reali, tassi, volpi, falchi, ibis eremita, cicogne, martore, fringuelli, peppole, pettirossi, cardellini, cervi, verdoni, allodole, tordi, beccacce, tonni, pesci spada, anguille.
Ed ecco che si compone magicamente la lunga lista di specie animali, presenti in Italia, che sono spesso oggetto di crimini e traffici illeciti, attività che di anno in anno si piazza ai primi posti nella classifica italiana dei reati accertati dalle Forze di polizia e dalle Capitanerie di porto.


Le richieste di Legambiente

L’inserimento in Costituzione della tutela della biodiversità chiede con urgenza a Governo e Parlamento di adeguare il quadro normativo per la tutela della fauna selvatica in Italia e di individuare le Istituzioni pubbliche che, per precipua finalità istituzionale, saranno concretamente e direttamente impegnate a garantire tale importante interesse collettivo del Paese. Ogni giorno “perso” siamo consapevoli sarà un giorno in più con migliaia di animali selvatici uccisi e torturati senza alcuna possibilità di tutela della biodiversità di cui sono parte essenziale. Le molteplici esigenze di tipo sanitario che hanno travolto la società in questi ultimi due anni rendono solo ancor più urgente tale intervento.

1) Modificare la normativa quadro per tutelare tutte le specie animali selvatiche, inserendo anche i
delitti per gli illeciti contro gli animali selvatici, e regolamentando la coesistenza con le tante
attività umane che quotidianamente hanno relazione con la fauna selvatica, prevedendo adeguati
strumenti e risorse affinché ciò si realizzi, compreso il rafforzamento del sistema sanitario veterinario per la prevenzione di zoonosi e patologie animali che possano avere pesanti ricadute sociali.

2) Ripensare la pianificazione del territorio agro‐silvo‐pastorale per la tutela della biodiversità e di
tutte le specie animali selvatiche, con “percentuali” attente e coerenti alle prioritarie minacce dei
cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità, unitamente al profondo cambiamento sociale
avvenuto in Italia e agli obiettivi da raggiungere entro i prossimi trent’anni.

3) Impedire che sia una sola categoria sociale a “guidare” le scelte di gestione della fauna selvatica
omeoterma, per prevenire e superare conflitti con altre categorie sociali ed impedire le incongruenze
dovute al condizionamento prevalente di un solo interesse.

4) Rafforzare, in personale, strumenti e risorse, e specializzare il personale degli organi inquirenti per consentire la massima efficacia al contrasto dei crimini contro la fauna selvatica e, quindi, poter
avviare la migliore azione preventiva.

5) Approntare un sistema pubblico trasparente, digitale, regolarmente alimentato e accessibile a tutti
di pubblicazione dei dati sulla gestione della fauna selvatica, a partire dal loro status di
conservazione, alle misure pubbliche preventive messe in atto per la riduzione dei conflitti con le
attività umane, ai dati del sistema sanitario veterinario su zoonosi e patologie animali, ai dati spaziali
e giornalieri di prelievo per le specie di cui è data concessione.

👉 QUÌ per scaricare l’intero dossier “La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia”.

👉 QUÌ la sintesi grafica dei dati

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