CARTA DI ROMA – PER IL RECUPERO DI ANIMALI SALVATI NON A FINI DI LUCRO

NECESSARIO UN NUOVO QUADRO NORMATIVO PER IL RICONOSCIMENTO E LA PROMOZIONE DEI CENTRI DI RECUPERO E I SANTUARI DEGLI ANIMALI, TUTELANDO E RENDENDO EFFETTIVA LA LORO FUNZIONE DI INTERESSE COLLETTIVO

INTRODUZIONE

Codice penale, Trattati internazionali e Leggi in materia di traffico di animali esotici, fauna selvatica, sperimentazione, circhi, zoo, animali domestici, prevedono in capo allo Stato specifici impegni di tutela degli animali selvatici o domestici che siano. Lo Stato ha assunto da diversi anni, l’impegno culturale e l’obbligo materiale di averne cura direttamente o indirettamente, garantendo agli animali quelle aspettative di vita che l’illegalità e la criminalità gli negano. Il numero di animali sequestrati e confiscati è fortemente aumentato nel corso degli ultimi dieci anni ed anche se non sono istituzionalmente disponibili numeri “solidi” si tratta in ogni caso di migliaia di animali la cui custodia impone specifiche esigenze, adeguate strutture e professionalità, e con attese di vita che variano da pochi anni ad alcuni decenni.

Questi impegni però sono largamente disattesi nell’applicazione delle norme; non sono stati tradotti in specifiche norme su strutture, procedure di autorizzazione, modalità di accoglimento, mantenimento e adozione degli animali ricoverati, né in finanziamenti adeguati. Anzi, vi sono norme solo parziali con una sovrapposizione o una completa assenza di competenze.

I Centri di Recupero in quanto tali non hanno un riconoscimento giuridico ed il loro funzionamento non è disciplinato in alcuna maniera. Un primo passo tuttavia è stato fatto con i Centri di Recupero di fauna selvatica autoctona, che hanno rappresentato una positiva esperienza da sviluppare e incentivare per il loro importante ruolo nella riabilitazione di migliaia di animali selvatici. I Centri di Recupero per animali esotici (CRASE) pur essendo previsti da una Convenzione internazionale come quella CITES non hanno mai avuto una disciplina normativa e ne esiste un numero totalmente inadeguato alle esigenze.

I Santuari per animali domestici – a differenza di quanto accade all’estero – in Italia incredibilmente non hanno ancora riconoscimento giuridico e sono purtroppo tutti considerati degli allevamenti, mentre invece hanno evidenti finalità del tutto diverse. Non esistono infatti norme specifiche per gli animali cosiddetti “da reddito” ospitati, nel rispetto delle loro esigenze, senza finalità riproduttive e/o commerciali di alcun tipo, che vengono comunque definiti come animali “da produzione”.

Le strutture di cura, recupero e per la lunga degenza sono poche e con scarsi aiuti. Le associazioni di volontariato non possono supplire al disimpegno di Stato ed Enti locali che hanno invece il dovere verso la collettività di garantire l’applicazione delle norme vigenti a tutela degli animali.

Tutto questo deve cambiare. Negli anni le associazioni e i cittadini hanno sopperito a un generale disinteresse di Stato ed Enti locali, alla mancanza di fondi delle Procure della Repubblica e Forze di Polizia, a una quasi inestricabile sovrapposizione di normative in alcuni casi anche confliggenti fra di loro. Lo Stato ha preferito reimmettere, in alcuni casi, nel circuito commerciale dello sfruttamento gli animali ad esso appena sottratti, in aperta antitesi alle normative di tutela che lo Stato medesimo dovrebbe applicare. E’ questo l’esempio degli animali selvatici alloctoni (esotici) confiscati ai circhi e per la maggior parte riallocati presso zoo o il caso di animali da reddito sequestrati e dati ad altre aziende zootecniche per la produzione.

Lo Stato non ha finora espresso la volontà di elaborare una strategia complessiva di intervento ed ha invece determinato il fallimento dei pochi strumenti in vigore, come il Fondo nazionale per il reimpiego delle sanzioni per i maltrattamenti, e resone inadeguati altri, almeno fino a che non si concretizzerà la recente novità legislativa, da noi proposta e ottenuta, dei Diritti Speciali di Prelievo CITES. Le risorse attribuite dalle Province ai Centri di Recupero degli animali selvatici sono inoltre state le uniche risorse di aiuto, anche se in molti casi ampiamente incapienti rispetto all’effettivo numero di animali curati, e con la recente abolizione delle Province queste risorse sono state in molti casi del tutto azzerate.

LA SITUAZIONE ESISTENTE

Gli impegni contenuti nelle norme come la Legge 189 del 2004 contro i maltrattamenti, la Legge 157 del 1992 o come la CITES – Convenzione di Washington, che richiama esplicitamente i singoli Stati alla corretta gestione delle specie animali vive confiscate in applicazione delle norme in materia, e i dibattiti sviluppatisi negli ultimi decenni in sede internazionale, hanno più volte richiamato l’attenzione sulla responsabilità di ogni Stato ad un impegno concreto per dare precise e tangibili risposte alla cura e gestione di quel patrimonio, anche biologico, di animali vivi sottratti all’illegalità. Per quanto concerne la CITES tutto ciò viene opportunamente richiamato nell’articolo 8 del testo della Convenzione, dove si richiede formalmente ad ogni Stato aderente di prendersi cura e di adoperarsi per una gestione a fini conservativi degli animali eventualmente sequestrati.

Con l’atto del sequestro e della successiva confisca vi è la materiale acquisizione degli animali vivi da parte dello Stato che ne comporta, innegabilmente, la loro iscrizione, anche nel caso di animali domestici, nel Patrimonio dello Stato, che quindi si trova ad acquisire un “bene” sui generis, in quanto essere vivente senziente, di difficile ed impegnativa gestione ma a cui non può negare un futuro e il benessere, garantendogli pertanto tali diritti.

E’ indiscutibile che la complessità della materia e il fatto che vi siano in gioco le vite di migliaia di animali, già barbaramente sottratti ai loro ambienti naturali o detenuti irresponsabilmente e privati dei loro minimi diritti, deve far considerare e reputare improcrastinabile arrivare a disporre di un Piano nazionale di gestione per tutte quelle migliaia di animali sequestrati e, in particolare, per tutti quelli definitivamente confiscati dall’Autorità Giudiziaria e per quelli che obbligatoriamente, da domani, dovranno essere sequestrati e/o confiscati perché nelle stesse illecite condizioni.
Urge dunque una Strategia nazionale complessiva che, solo per indicare alcuni passaggi, dia adeguata attenzione e sostegno a tutte le misure di prevenzione utili a ridurre significativamente l’insorgere di tali situazioni, all’esigenza di superare legislativamente la generica sanzione a coloro che hanno illegalmente sottratto e/o commercializzato e/o detenuto animali oggetto di sequestro e/o confisca, trasformandola in una più congrua “sanzione o contributo di scopo”, garantendo al contempo il rapido sganciamento dall’iter processuale degli animali oggetto di sequestro/confisca, il sostegno finanziario necessario al custode giudiziario per il tempo necessario al mantenimento degli animali, per sostenere i costi per la cura, la reimmissione in natura e/o il mantenimento, all’adozione di protocolli per la gestione complessiva degli animali, in base al gruppo di appartenenza (selvatico autoctono, selvatico alloctono o esotico, domestico d’affezione o da reddito) e alle normative di riferimento (Leggi 150/92, 157/92, 189/2004), e gli indirizzi per l’adozione diffusa degli animali oggetto di sequestro/confisca nel rispetto delle caratteristiche eco-etologiche delle diverse specie animali.

I NUMERI DEL FENOMENO

Non esistono ad oggi dati certi sul numero di animali sequestrati o confiscati. Esistono solo stime e quindi non è possibile descrivere puntualmente l’entità del fenomeno nella sua gravità. Dati forniti dalle Procure della Repubblica indicano che in Italia, solo per maltrattamento, nel 2013 sono stati aperti oltre 8.000 fascicoli, dei quali tuttavia non sono indicati il numero esatto degli animali sequestrati e le specie, che è possibile solo stimare in non meno di 27mila animali. I costi di mantenimento possono essere molto variabili ma se per una stima consideriamo il costo di mantenimento giornaliero di un animale in 5 euro, si arriva ad un costo totale di circa 50milioni di euro annui.

Dai dati raccolti presso il Corpo Forestale dello Stato si evince come nell’ultimo decennio siano stati sottoposti a sequestro giudiziario oltre 30.000 animali di varie specie, sia di affezione che selvatiche, tra queste ultime, in particolare uccelli e rettili. Tra le specie selvatiche alloctone (esotiche), il maggior numero appartiene all’ordine degli Psittaciformi, comunemente detti pappagalli, mentre tra le specie selvatiche autoctone vi sono diversi Falconiformi, Anseriformi, Gruiformi, Ciconiformi etc. L’altra classe animale a cui appartiene un elevato numero di specie sequestrate e/o confiscate è quella dei rettili; in questo caso oltre il 92% degli animali sequestrati appartiene all’ordine dei Chelonia o Testudinata, in particolare si è trattato di Testudo hermanni, Testudo graeca e Testudo marginata. Ve ne sono inoltre dell’ordine Crocodilia e Squamata tra i quali è importante considerare che in alcuni casi la confisca è avvenuta in quanto appartenenti a specie definite pericolose, ai sensi del Decreto ministeriale 19 aprile 1996, e per le quali è fondamentale assicurare idonei luoghi di custodia.

Di minore numero ma non meno allarmante, considerando anche il grave status di conservazione in cui versano molte delle specie oggetto di sequestro, sono i mammiferi. Tra questi appare d’obbligo citare gli oltre 25 scimpanzé, le diverse decine di grandi e medi felini, il sequestro di interi circhi, i diversi esemplari di ungulati e piccoli primati oltre che un gorilla ed un orango: tutte specie che da sempre suscitano il vivo interesse del cittadino, anche – ma non solo – per un forte coinvolgimento emotivo. Per tutte queste specie appare inoltre doveroso considerare che, anche in questo caso, sono giudicate “pericolose” e quindi bisognose di scrupolosa attenzione.

Fenomeno relativamente “nuovo”, benché previsto dalla normativa fin dal 1992, è quello della dismissione degli animali dai laboratori di sperimentazione animale e della loro riallocazione, già prevista dalla precedente normativa e ora rafforzata dal 2014 con il Decreto Legislativo n. 26. Il numero degli animali è in forte crescita e pone delle esigenze che, per alcuni di questi animali, ad oggi nessuna struttura è in grado di soddisfare. Si pensi alla dismissione di primati non umani, ad oggi quantificabile in diverse decine e forse centinaia di animali, per accogliere i quali nel nostro Paese non vi sono strutture sufficientemente capienti. Si pensi pure ai primati Herpes B positivi per i quali nel nostro Paese non esistono né una struttura né le competenze per accoglierli nella loro vita post sperimentazione. Anche in questo caso la dismissione di questi animali ha storicamente gravato sui singoli volontari e sulle associazioni, “sottraendo” un costo alle attività di sperimentazione animale che ne hanno tuttavia tratto ampio profitto.

E poi i cani, i gatti, i cavalli, i bovini, i suini… Il sequestro e la confisca di animali domestici, compresi quelli nei canili-lager o utilizzati nella zootecnia, è un fenomeno nuovo, in drammatica crescita, che può coinvolgere decine o centinaia di animali per singolo sequestro e può riguardare intere strutture, stalle o allevamenti. Ad oggi le possibilità di accoglienza, tranne meritorie eccezioni, sono del tutto inadatte e i casi avvenuti hanno confermato, in primo luogo, l’impossibilità operativa di procedere alla sottrazione dell’animale al soggetto cui è contestato il reato, finalità fondamentale del sequestro preventivo, ed in secondo luogo che le Istituzioni non hanno strumenti ed indirizzi uniformi per la gestione di casi di questo tipo.  L’accoglienza di animali domestici provenienti da sequestri e confische dalla zootecnia è oggi possibile solo in strutture piccole e gestite da associazioni e/o privati, rendendo quasi impossibile l’operato delle Forze dell’ordine e della Magistratura per questi animali.

E infine, non ultimi, i cuccioli di cane e gatto introdotti illegalmente nel nostro Paese. Secondo i dati forniti alla LAV da Arma dei Carabinieri, Corpo Forestale del Friuli Venezia Giulia, Guardia di Finanza, Nirda – Nucleo Investigativo per i Reati in Danno agli Animali – del Corpo Forestale dello Stato e Polizia Stradale, nel 2013 e 2014 in Italia sono stati sequestrati 2.630 cuccioli di cane e 15 di gatto. E questi traffici, naturalmente, sono solo quelli intercettati. Ancora oggi accade che gli animali, una volta posti sotto sequestro, per assenza di strutture di accoglienza siano lasciati agli indagati. Mancano inoltre protocolli condivisi tra gli operatori del settore, in particolare Forze di Polizia, Servizi Veterinari pubblici e Magistratura, nella questione inerente il sequestro degli animali, la loro gestione e, tramite le Associazioni che sono spesso individuate quali custodi giudiziari, l’affido in famiglia, con gravi sofferenze per i cuccioli coinvolti.

L’accoglienza di animali sequestrati e/o confiscati è stata possibile in larga parte grazie alle associazioni di volontariato e ai loro sostenitori. In quest’ultima fattispecie, peraltro, il dato quantitativo diventa preponderante nel momento in cui si somma con quello del sovraffollamento delle strutture, laddove esistenti, collegandosi altresì con lo storico ritardo della Pubblica Amministrazione nel dare adempimento alla Legge 281 del 1991 relativa agli animali domestici d’affezione.

PROBLEMI PER LE FORZE DELL’ORDINE E LA MAGISTRATURA

Ciò ha fatto emergere, in moltissime situazioni, come la mancanza di indicazioni normative precise, protocolli e strategie operative condivise con i soggetti coinvolti, la mancanza di adeguate risorse economiche e strumentali, nonché, purtroppo, lo scarso interesse da parte delle Autorità e la scarsa formazione del personale pubblico che dovrebbe seguire tutto ciò, stia creando problemi di operatività alla Magistratura ed alle Forze dell’ordine e, cosa fondamentale, non consenta di garantire a tali animali quel futuro che la Legge dovrebbe loro garantire, anche nel rispetto del loro benessere psicofisico, elemento ormai legislativamente ed eticamente riconosciuto.

Infatti, per ogni animale selvatico sequestrato dovrebbe essere imprescindibilmente prevista una idonea struttura di prima accoglienza e, laddove necessario, “un’area di quarantena”, quindi Centri specifici per la detenzione, cura e recupero di animali selvatici in grado di garantire, attraverso l’impiego di personale professionalmente preparato e capace, nel caso della fauna autoctona, terapie e spazi adeguati per il tempo necessario alla riabilitazione finalizzata alla reintroduzione in natura mentre, nel caso di fauna alloctona (esotici), al fine di realizzare, ovunque possibile, programmi di reinserimento e/o trasferimento nei luoghi di origine. A ciò si aggiunga l’esigenza di una solida tracciabilità degli animali in questione, anche utilizzando dati genetici, attraverso la regolamentazione di modalità e procedure, trasparentemente riportate in registri tenuti dal personale del Comando Unità per la Tutela Forestale, Ambientale e Agroalimentare (CUTFAA) dell’Arma dei Carabinieri, così come già avviene per i registri CITES, per la verifica e, laddove possibile, l’attiva partecipazione e coinvolgimento diffuso di cittadini in programmi di affidamento/adozione delle specie animali più comunemente commerciate, semplici da custodire, e non più restituibili alla natura.

Inoltre, occorrono strumenti normativi univoci che chiariscano che la destinazione degli animali oggetto di sequestri e confische deve essere in linea con le loro esigenze etologiche e non può certamente essere uguale o addirittura peggiorativa delle condizioni illegali alle quali sono stati sottratti. Infine, è necessario che tali provvedimenti (sequestri e/o confische) siano svincolati da processi che possono durare anche dieci e più anni e con esiti imprevedibili (ad esempio, prescrizione) per la sorte degli animali che, in quanto esseri senzienti, costruiscono relazioni affettive con persone e luoghi e dovrebbero pertanto essere rapidamente sottratti da tali incertezze. Non ultimo, tale esigenza va anche incontro alla naturale condizione degli esseri viventi (passibile di malattie, incidenti, morte) che, in quanto tali, sono inevitabilmente riconducibili alla categoria giuridica dei cosiddetti “beni facilmente deperibili”, che andrebbero in ogni caso svincolati dall’iter processuale (tramite deposito cauzionale e cessione definitiva degli animali oggetto di sequestro).

CENTRI DI RECUPERO E SANTUARI: UNA LEGGE DI RICONOSCIMENTO

Innanzitutto va valutato che non esiste una definizione certa ed inequivocabile delle strutture che si occupano della cura degli animali selvatici protetti, siano essi autoctoni o alloctoni (esotici), della loro detenzione ed eventuale reintroduzione in natura, poiché la legislazione nazionale di riferimento non le ha ancora riconosciute, o solo citate come necessarie, come avvenuto con la legge 157/92 per quelle per il recupero degli animali selvatici, ormai presenti da tempo e diffuse sul territorio nazionale. Non sono infatti stabiliti, a livello nazionale, criteri minimi uniformi per ogni tipologia di struttura, che dettino le regole generali e che possano identificarle con precisione, in base a parametri certi.

Si tratta di una situazione particolarmente grave per le strutture che accolgono gli animali selvatici alloctoni (esotici) – la Legge 150/92 ne è all’origine, insieme ovviamente a tutte le normative sovranazionali riguardanti il commercio di specie animali selvatiche protette – ma nonostante ciò non si è mai provveduto a darne univoca definizione e regolamentazione. E proprio queste strutture, deputate ad accogliere specie selvatiche alloctone (esotiche) protette, rappresentano la più palese delle carenze, in quanto molto complesse dal punto di vista gestionale.

Unico riferimento a strutture considerate idonee, dalla Commissione Scientifica CITES, ad accogliere animali esotici proprio in forza dell’articolo 6, comma 6 della Legge 150/92, risulta essere un elenco riportato anche nella più recente versione del Manuale Operativo Cites.

In sostanza, nel nostro Paese, ad oggi, sono pochissime le strutture scrupolosamente qualificate, capaci e opportunamente attrezzate per animali selvatici alloctoni (esotici) protetti: quindi non è raro l’affidamento di animali sequestrati alle strutture che dovrebbero ospitare esclusivamente animali selvatici autoctoni, con inevitabili ripercussioni negative, in ambito sanitario e non solo. Mancano anche criteri minimi uniformi per i cosiddetti ‘Santuari per animali domestici’ che ospitano animali domestici cosiddetti ‘da reddito’, oggetto di sequestri e/o confische ed ospitati, nel rispetto delle loro esigenze, senza finalità riproduttive e/o commerciali di alcun tipo. Da tenere presente, inoltre, che tutte tali strutture sono gestite nella maggior parte dei casi da Onlus e/o Enti Morali che con enorme difficoltà fanno fronte agli oneri derivanti dal mantenimento di animali, che per loro finalità devono curare, compresi quelli sequestrati, e che si rivolgono necessariamente al cittadino particolarmente sensibile per chiedere aiuti. Occorre ribadire che il ruolo che Onlus ed Enti morali svolgono avviene in regime di sussidiarietà rispetto alle Amministrazioni pubbliche (Stato, Regioni, Province) che hanno le competenze, l’onere e le responsabilità giuridiche di prestare soccorso e riabilitare la fauna selvatica e gli animali oggetto di sequestro o confisca. In questo generale caos, in taluni casi, gli animali sono stati affidati anche a strutture prive di qualsiasi requisito e, in qualche occasione, gli animali hanno addirittura peggiorato la loro condizione, se non addirittura sono andati incontro alla morte entro breve tempo.

Da quanto esposto appare evidente che in Italia ci troviamo di fronte a problemi di diversa tipologia, che possono essere affrontati e risolti solo con un responsabile, complessivo atto di indirizzo ed un impegno concreto promosso dalle Istituzioni competenti, in primis i Ministeri dell’Ambiente e della Salute, ma anche da Regioni, Province e Comuni che, da subito, devono dedicare le necessarie risorse e puntuali volontà, finora mancate.

IL CONTRIBUTO DA ATTIVITA’ COMMERCIALI CON ANIMALI VIVI

I costi del mantenimento degli animali sequestrati e confiscati, al netto dei casi in cui risulti possibile individuare soggetti disposti all’adozione definitiva, gravano sulla comunità, come costi sopportati per le spese di Giustizia e sulle strutture pubbliche o private che ne prendono la custodia.

La maggior parte degli animali vivi sequestrati e confiscati proviene da attività commerciali e le particolari condizioni di detenzione necessarie per garantire il giusto standard di benessere animale determinano costi importanti. I costi di custodia, sia che siano sopportati dalla Giustizia o dalle strutture affidatarie, di fatto non ricadono sui soggetti che hanno maltrattato gli animali perché i costi di custodia non vengono mai recuperati al termine del processo penale. Questo determina un trasferimento di oneri, spettanti in molti casi a titolari di attività commerciali, che oltre ad essere contrario alla Legge è anche inaccettabile ed insostenibile nel lungo periodo. Far sostenere i costi derivanti da attività commerciali allo Stato o alle Onlus costituisce una prassi che deve essere fermata e che inficia gravemente le finalità di tutela degli animali poste della Legge 189/2004.

Pertanto è necessario ripensare le modalità di funzionamento del fondo per la gestione degli animali sequestrati per maltrattamento, nella direzione di poter quantificare in modo univoco i costi e di far sì che vengano sostenuti dalle attività commerciali che utilizzano animali vivi, oggetto del problema di ordine legale, economico e sociale. La proposta di un contributo, “CONANIMA – CONtributo da attività commerciali con ANIMAli vivi”, è già presente nel sistema economico, sia in altri settori dell’economia, come ad esempio il contributo CONAI sugli imballaggi, che in quello degli animali, per il tramite dei diritti speciali di prelievo all’importazione di animali e parti di animali nel sistema CITES.

Il contributo deve applicarsi alle attività commerciali con animali vivi, ad esclusione delle specie incluse negli allegati CITES la cui disciplina è già prevista dall’art. 8 quinquies della legge 150 del 1992, e dovrebbe essere a carico di: allevatori di animali per utilizzo alimentare, da pelliccia, da compagnia e da lavoro, negozi che vendono animali vivi, circhi con animali, zoo e bioparchi, laboratori di sperimentazione animale.

Il contributo dovrebbe essere il principale canale di alimentazione del fondo della Legge 189/2004 e l’entità del contributo essere differenziata per valore economico della specie, come ipotizzato nelle tabelle 1 e 2 riportate di seguito. L’ammontare indicato è da versare, una tantum, per ogni singolo esemplare detenuto ed è dovuto da ciascun operatore economico che entra in possesso di un animale vivo. Destinatari del contributo rimarrebbero i soggetti, pubblici e privati, riconosciuti dalla Legge 189/2004, i Centri di Recupero ed i Santuari per animali domestici autorizzati dallo Stato.

TABELLA 1 – PROPOSTE DI CONTRIBUTI PER ANIMALI VIVI UTILIZZATI PER PRODURRE UN REDDITO, AD ESCLUSIONE DEGLI ANIMALI IMPIEGATI NELLA RICERCA SCIENTIFICA E CITES

Specie di Animali Quota del contributo per il mantenimento di animali sequestrati e confiscati (in euro)
Mucche ed altri bovidi, ad eccezione dei caprini 0,50
Cavalli ed altri equidi 0,50
Maiali ed altri suidi 0,40
Pecore, capre ed altri caprini 0,30
Pollame da carne 0,05
Galline ovaiole 0,05
Altri uccelli 0,05
Canina (Allevata) 1
Felina (Allevata) 1
Conigli ed altri lagomorfi 0,05
Animali da pelliccia 1

 

TABELLA 2 – PROPOSTE DI CONTRIBUTI PER ANIMALI VIVI UTILIZZATI NELLA RICERCA SCIENTIFICA

Specie di Animali Quota del contributo per il mantenimento di animali sequestrati e confiscati (in euro)
Primati 10
Canidi 5
Felidi 5
Conigli ed altri lagomorfi 3
Roditori 0,5
Altri vertebrati, inclusi uccelli, pesci ed anfibi 0,3

Per quanto riguarda i Diritti speciali di prelievo del sistema CITES, solo recentemente, e grazie a un emendamento promosso dalle associazioni, è diventata Legge (articolo 75 del Collegato ambientale – Legge 221 del 28.12.2015) la necessità di adeguare triennalmente il ridicolo diritto speciale di prelievo CITES, fissando l’obbligo di utilizzo per il mantenimento degli animali stessi. Ora è urgente che il Ministero dell’Ambiente adegui tali importi, anche introducendo il diritto di prelievo sul singolo animale importato, con importi che siano fissati in base al valore dell’animale e che siano congrui a realizzare le finalità previste dalla Convenzione di Washington. Cosa ancora più importante è che tali risorse vadano effettivamente ad alimentare il recupero di animali oggetto di sequestri e/o confische e le politiche di controllo e repressione del traffico illecito, come previsto dalla Convenzione stessa.

Il PIANO NAZIONALE DI AZIONE

Noi sottoscritti riteniamo inderogabile l’adozione da parte del Governo di un Piano nazionale di azione che preveda di:

  • Approvare una norma nazionale di riconoscimento e inquadramento giuridico dei Centri di Recupero di specie selvatiche appartenenti alla fauna autoctona (CRFS), dei Centri per la tutela e custodia di specie selvatiche alloctone (esotiche) (CRASE) e dei Santuari per il recupero degli animali domestici non a fini di lucro nel rispetto delle Leggi, con criteri minimi uniformi e previsione di protocolli univoci per la gestione dei differenti gruppi animali, che non siano più equiparati, per storia e funzioni, a qualsivoglia altra attività a scopo di lucro;
  • Individuare e definire le voci di bilancio a cui imputare i fondi necessari allo sviluppo e all’attuazione di una strategia nazionale complessiva e l’effettiva messa a disposizione dei fondi necessari per prendersi cura correttamente degli animali sequestrati e/o confiscati, la concreta attivazione del Fondo previsto dalla Legge 189/2004 con il già previsto reimpiego delle sanzioni irrogate per reati contro gli animali e l’istituzione del proposto “CONtributo da attività commerciali con ANIMAli vivi”;
  • Adeguare, ai sensi dell’articolo 75 della Legge 221 del 28.12.2015, ai reali costi di gestione dell’applicazione delle norme CITES i diritti speciali di prelievo anche prevedendo che l’importo sia applicato sul singolo animale affinché il relativo Fondo possa essere in grado di far fronte ai reali costi di gestione degli animali sequestrati e confiscati;
  • Approvare una modifica, il divieto di messa all’asta degli animali, e una integrazione, le sanzioni pecuniarie da destinare alla custodia degli animali sequestrati e confiscati, alla Legge 150/92;
  • Inserire strumenti normativi univoci che garantiscano la destinazione degli animali oggetto di sequestri e confische in linea con le loro esigenze etologiche, che non possono certamente andare a peggiorarle (per esempio, dando la custodia a colui che è imputato per maltrattamenti) e che svincolino la loro vita da processi che possono durare anche più di dieci anni (per esempio, deposito cauzionale per cessione definitiva degli animali) e con esiti imprevedibili (ad esempio, prescrizione). Ciò permetterà alle strutture autorizzate che ne assumo la custodia giudiziaria di istruire l’adozione definitiva degli animali anche da parte di singoli cittadini per gli animali domestici e/o per quelli selvatici, limitatamente agli individui che non possono essere reintrodotti in natura, di più semplice corretta gestione;
  • Stabilire procedure di riconoscimento delle strutture autorizzate che si occupano di ricovero e cura di animali selvatici autoctoni (anche sequestrati o confiscati), attraverso definizione univoca, standard e criteri minimi riguardanti funzionamento, competenza, spazi e strumentazioni necessari, figure professionali e quant’altro, con stesura di univoci elenchi nazionali pubblici delle strutture autorizzate a cui facciano riferimento le differenti articolazioni dello Stato;
  • Individuare e dare riconoscimento alla rete nazionale delle strutture in grado di gestire correttamente gli animali alloctoni (esotici) nelle diverse fasi, secondo le diverse competenze e secondo le esigenze operative, anche nel rispetto della diversità geografica e climatica, garantendo primariamente, laddove possibile, il miglioramento e la ristrutturazione della rete esistente nonché la sua implementazione attraverso la realizzazione delle strutture necessarie;
  • Standardizzare la procedura per periodici e regolari controlli a tutte le strutture autorizzate e coinvolte nelle diverse fasi di gestione degli animali, in particolare quelli sequestrati e/o confiscati, con la definizione da parte degli organismi competenti di adeguati protocolli sanitari per garantire la corretta gestione degli animali;
  • Informatizzare tutti i dati disponibili, con particolare riguardo a quelli sanitari, in apposite banche dati nazionali, affidate ai competenti ministeri, e prevedere le procedure per la loro regolare ed obbligatoria implementazione da parte delle strutture autorizzate al fine di consentire una semplice, efficace, rapida e lineare gestione degli animali affidati in custodia o comunque alienati;
  • Individuare e promuovere programmi di collaborazione con i più avanzati ed efficienti Centri di recupero di specie selvatiche autoctone, di Centri di tutela e custodia di specie selvatiche alloctone (esotiche) e Santuari per animali domestici non a fini di lucro attivi fuori dall’Italia;
  • Definire protocolli per l’Amministrazione giudiziaria che consentano la veloce movimentazione degli animali selvatici autoctoni oggetto di confisca affinché possano essere inseriti in programmi di recupero e/o conservazione (ed eventuale liberazione in natura) e/o educazione e sensibilizzazione, così come definire protocolli per le specie alloctone (esotiche) oggetto di confisca affinché possano essere tutelate e gestite correttamente;
  • Per quanto riguarda gli animali selvatici autoctoni oggetto di sequestro, definire protocolli veterinari che consentano di rilasciare e/o reimmettere rapidamente gli animali, non bisognosi di cure e/o attenzioni sanitarie, nell’ambiente naturale idoneo, con evidente vantaggio per la qualità della vita degli animali medesimi e riduzione dei costi per la collettività.

Roma, 3 marzo 2017

 

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